Le considerazioni che farò in questo editoriale scaturiscono dal finale di stagione di Star Wars: Ahsoka che, personalmente, ho trovato strepitoso, e provo a dire il perché. Lo farò senza ricorrere ad alcun tipo di spoiler, cercando di spiegare non solo perché emotivamente Star Wars è ormai un passo avanti a tutto, ma anche perché sul piano della qualità della narrazione sta raggiungendo vette inesplorate.
Se si considera Star Wars come sovrapposizione quasi perfetta all’intera dimensione artistica la visione di questi contenuti conduce a vette emotive straordinarie. Questo perché l’apprezzamento di ogni singola scena dipende da quanto tempo si è dedicato all’immaginario: quanti romanzi e fumetti sono stati letti, quante volte si è visto Rebels, e quanto si è dedicato alla comprensione di ogni singolo passaggio. Studiare i databank, wookieepedia, le guide agli episodi, e quant’altro è l’unico modo per cogliere durante la visione tutte le connessioni.
Insomma, se si vive così Star Wars, identificandolo come il momento di evasione tout court, si possono toccare delle vette emotive che non pensavo potessero essere possibili. Ciascuna scena di questa parte finale è un concentrato super intenso di riferimenti. Potrebbe iniziare con qualche nota (attenzione, non tutto il tema) di un tema musicale corrispondente a un’emozione vissuta in un film della trilogia originale o sequel, in The Clone Wars o Rebels, solo per citare qualche opera. Poi proseguire con una battuta di dialogo che magari si riferisce a un remoto romanzo Canon o Legends, poi ancora con un ammiccamento di uno dei protagonisti che ricorda un’animazione facciale vista in Rebels, e poi ancora con un movimento che si rifà a un certo combattimento, che ai tempi era altrettanto carico di emozioni.
Faccio un esempio più concreto. In diversi punti della serie, il Grand’Ammiraglio Thrawn fa riferimento al suo rapporto con Anakin Skywalker/Darth Vader. È una citazione del romanzo canonico Thrawn: Alleanze, il secondo capitolo della trilogia originale di romanzi canonici (ce n’è anche una prequel che racconta la gioventù di Thrawn quando è ancora nelle Regioni Ignote). Ebbene questo riferimento innesca nel cervello del fan almeno tre livelli di lettura. Il primo è il semplice rimando a un media differente. Il secondo è il rapporto con Anakin, che si riflette sulla sua rivalità con Ahsoka. E il terzo, più recondito, è il fatto che Thrawn abbia un qualche tipo di confronto ancora in corso con Anakin.
Questo non è esplicito nel romanzo, anzi sembra quasi, perlomeno nella parte che si rifà alle Guerre dei Cloni, che Thrawn ammiri il giovane Skywalker. Per capire il passaggio, il fan deve fare un terzo volo concettuale, contestualizzando rispetto all’epoca Imperiale. In questa fase, infatti, Sidious mette in rivalità il suo apprendista con altre figure di spicco che ruotano intorno all’orbita Imperiale. Questo perché i Sith devono sempre alimentare lo scontro per rinvigorire i propri poteri. Sono innatamente portati al conflitto e alla competizione: quindi, non si tratta solo di un parallelismo tra Anakin e Thrawn, ma le frasi del Grand’Ammiraglio hanno un respiro più ampio, riferendosi all’essenza stessa dei Sith e dell’Impero.
È proprio un’esagerazione emozionale quella a cui vuole condurci l’autore Dave Filoni. Se consideriamo che tutta l’evoluzione della narrazione cinematografica passa attraverso un’intensificazione e una velocizzazione dell’azione su schermo, non è difficile capire perché questo può essere inteso come il punto di approdo della veicolazione stessa del messaggio cinematografico. Inserire tanti messaggi reconditi per ogni inquadratura per sollecitare lo spettatore a un maggiore lavoro di interpretazione e conseguentemente coinvolgerlo maggiormente è stato il meccanismo con il quale, nel corso delle varie epoche, il media cinematografico ha alzato progressivamente l’asticella della qualità. Fino a un punto, però, in cui tutto si inaridisce, non puoi intensificare ulteriormente o velocizzare ancora. Non puoi più progredire.
È quello che provo con il cinema di oggi, non mi dà più il senso dell’evoluzione che avevo vissuto negli anni passati, quando un film degli anni ’70 mi dava sensazioni completamente diverse da un film degli anni ’60, così come uno degli anni ’80 da uno degli anni ’70, e così via. A meno di non considerare come evoluzione di queste forme di narrazione l’universo crossmediale. Star Wars arriva a uno stadio successivo se lo si vive come dimensione a parte. Ho portato a termine una lunga giornata di lavoro e voglio rilassarmi? Ecco che posso dedicarmi al mio meritato angolino di evasione, ma non penso più all’intrattenimento in generale, ma alla mia dimensione alternativa preferita, riconducibile a un unico, ormai immenso, immaginario. Star Wars.
E incalza, ancora incalza, ancora e ancora. Non accenna a finire. È un continuo accelerare (sebbene non tutti i contenuti siano sullo stesso livello qualitativo). Tra romanzi, fumetti, videogiochi, serie TV, film e quant’altro. Anche se per Disney sarà molto difficile proseguire su questo trend, perché le serie televisive costano, e rientrarci non è facile con i modelli di business delle piattaforme di streaming, per una moltitudine di motivi. Ma sta cercando di tenere duro, e si sta fidando dei suoi autori. Giustamente, spaccando la fanbase, come è sempre stato, ma accontentando a un livello estremo chi ha capito qual è la strada.
Come la Forza tiene tutto connesso in-universe, la crossmedialità è il collante necessario per poter godere di queste emozioni. Perché conferiscono una profondità senza precedenti e permettono agli autori di creare questa intricatissima rete di rimandi. Non solo a film e altre serie, ma anche a romanzi, fumetti, addirittura videogiochi.
Si parla poi molto di coerenza, di presunta contraddizione all’interno del Canone. Si, c’è senz’altro, e lo stesso Filoni ne è il principale responsabile (è colui che ha stravolto più contenuti canonici fra tutti gli autori).
Ma allo stesso tempo non è nemmeno immaginabile trovare un universo altrettanto complesso e vasto, che abbraccia ormai così tante epoche tenendo conto di storie che si sono svolte in un arco temporale di decine di migliaia di anni. Non è una coerenza perfetta, ma questo è quasi del tutto impossibile con così tante storie, oltretutto realizzate da autori diversi, che spesso non si sono neanche conosciuti, e su media con regole narrative diametralmente opposte.
Certo, Star Wars può essere visto sempre nel bene o nel male. C’è chi si concentrerà sugli aspetti che funzionano meno in Ahsoka, c’è chi si aspettava maggiore spazio a questo o quel personaggio, chi aveva certe aspettative che sono state disilluse. E sicuramente tutta la stagione, così come ciascun episodio, potevano durare di più: ma, ancora una volta, torneremmo al discorso dei costi, perché una maggiore durata corrisponde a costi che per il momento, per Star Wars (come per qualsiasi altro immaginario che va sulle serie TV), non sono sostenibili.
Io, per conto mio, da fruitore ormai quasi interamente solo di contenuti di evasione legati alla “galassia lontana lontana”, come dice Huyang, ho vissuto un’emozione così forte con questo finale di stagione che non posso far altro che definirlo così: strepitoso.